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Tutti noi ogni giorno operiamo contrattazioni emotive, di cui spesso non abbiamo conoscenza, che impattano positivamente sulla qualità della vita (e dunque poco in termini di limitazioni), “ci alleggeriscono” da tensioni emotive e conflitti anche banali che si presentano nella quotidianità.
In alcuni casi queste contrattazioni emotive assumono maggiore profondità e portano la persona a ricorrere a vari comportamenti che, se continuativi, possono diventare il modo di gestire la propria vita, configurandosi come uno specifico modo di funzionare.
La scelta dei compagni e compagne di vita, ad esempio, può rivelarsi strategica al fine di evitare turbolenze interne su territori che la persona ha con fatica escluso dai propri pensieri perché causa di flussi emotivi verso i quali non è sufficientemente attrezzata. Più genericamente, si può pensare a tutta una serie di comportamenti che hanno la funzione di sottrarre la nostra mente al compito di dover pensare i pensieri (Ferro A., 2016).
“Il luogo dove prende forma un’emozione è sempre un crocevia in cui mentre una sembra
assumere un’intensità prevalente, accanto ad essa altre transitano
e in qualche modo la influenzano”
Antonino Ferro (2016)
Il rapporto con una mente capace di far posto è un elemento essenziale alla crescita e maturazione psichica; all’interno di questo rapporto con l’altro costruiamo l’esperienza dei confini e della relazionalità, ricevendo anche quelle funzioni mentali che ci consentiranno di vivere e gestire le emozioni (Fairbairn W., 1952). Può accadere che questa “mente altra” lasci la persona con modalità particolari e in momenti diversi dell’esistenza determinando conseguenze che talvolta sembrano negare una conquistata separatezza e autonomia (Bion W., 2019).
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La dipendenza affettiva fa parte delle cosiddette “nuove dipendenze” in cui si osservano processi che presentano le stesse caratteristiche della tossicodipendenza, ma non sono causati dall’azione di una sostanza di abuso.
Tutte le forme di dipendenza hanno qualcosa in comune, ovvero rappresentano tentativi di mantenere sotto controllo le emozioni attraverso specifiche esperienze che ricoprono funzioni quali alleviare la noia, incrementare le sensazioni di benessere o ancora allontanare la tristezza, il dolore ed ogni tipo di emozione spiacevole (Ferro A., 2007).
Per alcune persone, le relazioni diventano fonte di insoddisfazione e frustrazione ma, per quanto portare avanti questo legame sembri difficile, il pensiero di rimanerne privi è di gran lunga peggiore.
La dipendenza affettiva si instaura proprio all’interno di questa tensione tra il “non poter vivere con” ed “il non poter vivere senza” ed il funzionamento della persona finisce con il dipendere sostanzialmente dalla relazione affettiva (Bollas C., 1996).
Trovarsi in una relazione stimola le aree cerebrali legate alla ricompensa proprio come nel caso delle droghe, ma portare a termine una relazione può provocare ansia e depressione.
Le risposte emotive si legano poi alle reazioni fisiche determinando una potente spinta verso la costruzione o il mantenimento di una relazione affettiva.
La relazione, dunque, diventa per la persona dipendente, ciò che consentirà di ridurre la sofferenza e di sentirsi meglio.
Uno dei centri cerebrali legati alla ricompensa si trova all’interno del sistema limbico, centro di controllo delle risposte emotive che governa il rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore che induce sensazioni di benessere ed euforia. Come nel caso della dipendenza da sostanze, anche le altre forme di dipendenza possono dunque stimolare la produzione di dopamina; il cervello rilascia dopamina in corrispondenza di particolari comportamenti, come lo shopping o il gioco d’azzardo o, in questo caso, con la vicinanza della persona che è diventata oggetto della dipendenza.
In particolare, i segni ed i sintomi della dipendenza affettiva richiamano quelli che si riscontrano nelle dipendenze comportamentali e includono il piacere derivante dall’oggetto della dipendenza, tolleranza ed astinenza con comparsa di emozioni negative molto intense quando l’altro è emotivamente o fisicamente distante e perdita di controllo con incapacità di riflettere in maniera lucida sulla situazione.
In un quadro di dipendenza affettiva si osserva un intenso bisogno di costruire un legame nei confronti di una persona su cui vengono investite tutte le energie, è riscontrabile un’ansia costante di perdere questa persona che conduce dunque ad una richiesta incessante di rassicurazioni. Diviene difficile identificare in modo consapevole bisogni e obiettivi personali se non in presenza di una figura di supporto o di un contesto che svolga tale funzione. Va sottolineato che i sintomi della dipendenza affettiva non si manifestano necessariamente all’interno di una relazione di coppia, ma possono manifestarsi anche nei confronti di un genitore, di un altro familiare, di una figura amicale o di una persona d’autorità.
Riconoscere la propria dipendenza
Come accade per gli altri generi di dipendenza, la guarigione dalla dipendenza affettiva è un processo complesso che richiede del tempo; i presupposti fondamentali sono il riconoscimento della propria dipendenza, la presa di coscienza delle conseguenze che ha prodotto e potrebbe produrre in futuro e la volontà di intraprendere un processo di cambiamento. Tutto questo richiede sicuramente un’iniziale dose di coraggio perché comporta il porre fine ad una relazione disfunzionale e la gestione dell’astinenza.
Terapeuta e paziente ripercorrono insieme la storia della relazione attuale e di quelle passate, ricercando i meccanismi della dipendenza in modo da gestire eventuali ricadute. La psicoterapia è volta anche al potenziamento delle capacità di gestione e comprensione della paura della solitudine, del rifiuto e dell’abbandono. Un miglioramento nella capacità di riconoscimento ed espressione dei propri vissuti ed emozioni contribuisce alla costruzione di un più solido senso di sé e di autonomia. Si lavora sull’accettazione e gestione delle emozioni dolorose, indigeribili, su quei sentimenti come colpa, rimorso o vergogna che per molto tempo sono stati negati e nascosti all’interno della relazione disfunzionale di dipendenza, vissuti che vengono fatti emergere all’interno di un setting protetto e gradualmente accettati come parte integrante della propria persona (Pellizzari G., 2015).
La dipendenza affettiva e i disturbi di personalità
La dipendenza affettiva la si può ritrovare nel Disturbo Dipendente di Personalità in cui l’efficacia personale è legata alla presenza di una relazione significativa salda e stabile, nel Disturbo Borderline di Personalità, quando il timore dell’abbandono porta la persona a fare di tutto per mantenere la relazione con l’altro, nel Disturbo Narcisistico di Personalità in cui il mantenimento di un’immagine positiva di sé dipende dall’ammirazione dell’altro che deve quindi essere disponibile e vicino ogni volta che vi è la necessità di ristabilizzare la propria autostima. È dunque importante comprendere quali siano le ragioni sottostanti la dipendenza ed inquadrarle all’interno di un profilo personologico specifico (Kernberg O., 1975).
Nei pazienti con Disturbo Borderline di Personalità è possibile rintracciare un’angoscia estremamente primitiva che porta a gelosia, rabbia, furia, meccanismi di sopravvivenza rispetto al protovissuto, ovvero non ancora alfabetizzato, di precipitare nel vuoto senza un paracadute (Antonino Ferro, 2016). Da un lato si può osservare il timore di fondersi con l’altra persona, dall’altro un’angoscia che confina con il panico in relazione all’idea di poter essere abbandonati in qualsiasi momento. Masterson (1976) ha evidenziato come le paure abbandoniche dei pazienti borderline hanno origine da esperienze traumatiche di separazione nell’infanzia.
Esiste una stretta connessione tra la tipologia di attaccamento e la struttura di personalità (Slade A., 2010). Spesso, coloro che soffrono di disagi connessi alla sfera della dipendenza affettiva presentano uno stile di attaccamento insicuro ed un percorso di psicoterapia può aiutare loro a comprendere il proprio funzionamento e la motivazione che sottende la dipendenza, ad elaborare esperienze passate in modo da favorire l’emergere di legami significativi e soddisfacenti, ed a sviluppare una maggiore capacità di espressione dei propri bisogni, migliorando così anche autostima e sicurezza in se stessi (Winnicott D, 1965). In un percorso di Psicoterapia si aiuta la persona a capire il significato delle proprie reazioni, che divengono dunque vere e proprie difese, a comprendere il fatto che esiste un apparato per sopravvivere, semplicemente non è stato sufficientemente esperito, e a vedere come questo apparato cominci a funzionare e come sia progressivamente attrezzabile.
Esplorare per cambiare
Nel caso della dipendenza affettiva, la Psicoterapia non è dunque una modalità di intervento progettata principalmente per alleviare i sintomi o ridurre i comportamenti disadattivi, ma è pensata per aiutare il paziente a cambiare psicologicamente per il meglio, a modificare le capacità psicologiche disfunzionali e svilupparne di nuove (Barbetta P & Telfener U., 2019). In questo senso, dunque, la Psicoterapia si differenzia dai trattamenti che implicano un atteggiamento passivo, prevedendo al contrario un certo livello di collaborazione da parte del paziente. Il coinvolgimento protratto con un altro affidabile ed accudente offre in tal modo un’esperienza di attaccamento correttiva potente (Allen J.G., Fonagy P. & Bateman A.W., 2008).
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La Psicoterapia aiuta la persona a trovare dei meccanismi che consentono di bilanciare le possibili derive evacuative, proiettive e sintomatologiche che la mente usa per difendersi dalle pressioni emotive che sente insostenibili (Gabbard G.O, 2011).
Tutti i racconti e le narrazioni prendono le mosse da una difficoltà che interrompe il corso naturale delle cose e che dà il via all’avventura, all’insieme delle azioni e dei pensieri che esplorano un ignoto ed esplorandolo cambiano e trasformano il soggetto stesso. Come sottolinea Pellizzari (2002) “Persino nelle condizioni più estreme questa trasformazione può verificarsi”; la difficoltà che diviene avventura prefigura dunque la possibilità di un vantaggio, ovvero di un cambiamento e di uno sviluppo vitale, sebbene ignoto ed incerto.
AGGIORNATO IL: 14/09/2021
Bibliografia
Anna Ferruta, Giovanni Foresti & Marta Vigorelli (2016). Le comunità terapeutiche. Psicotici, borderline, adolescenti, minori. Raffaello Cortina Editore.
Antonino Ferro (2007). Evitare le emozioni, vivere le emozioni. Raffaello Cortina Editore.
Antonino Ferro (2018). La clinica psicoanalitica oggi. Carocci Editore.
Clara Mucci (2020). Corpi borderline. Regolazione affettiva e clinica dei disturbi di personalità. Raffaello Cortina Editore.
Donald Winnicott (1945). Lo sviluppo emozionale primario. Dalla pediatria alla psicoanalisi, pp.196-211.
Franco De Masi (2016). Psicopatologia e psicoanalisi clinica. Concetti e sviluppi. Mimesis.
Glen O. Gabbard (2011). Introduzione alla psicoterapia psicodinamica. Raffaello Cortina Editore.
Jon Allen, Peter Fonagy & Anthony Bateman (2008). La mentalizzazione della pratica clinica. Raffaello Cortina Editore.
Judith M. Hughes (1991). La psicoanalisi e la teoria delle relazioni oggettuali. M. Klein – W. R. D. Fairbairn – D. W. Winnicott. Astrolabio.
Nancy McWilliams (2012). La diagnosi psicoanalitica. Astrolabio.
Pietro Barbetta & Umberta Telfener (2019). Complessità e psicoterapia. Raffaello Cortina Editore.
Pietro Roberto Goisis (2020). Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti. Enrico Damiani Editore.
Crediti: Cuore e corde, Viso donna
Immagine di copertina: Donna in attesa