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In un precedente articolo Il coraggio di parlare e la forza di ascoltare ho cercato di mettere in luce l’importanza, nel lavoro terapeutico con le donne vittime di violenza, di “ascoltare le reazioni di pancia”. Ma cosa significa?

Nella mia esperienza di collaborazione con il Centro antiviolenza di Lecco ho incontrato molte donne che hanno subito violenze sia di tipo fisico, che verbale che economico, da mariti, compagni o fidanzati o che erano oggetto di stalking da parte dell’ex-compagno.

E’ stato proprio nel lavoro con queste pazienti che ho compreso il ruolo fondamentale del contro-transfert, “le reazioni di pancia”, nel percorso terapeutico.
Si è rivelato utilissimo per me saper leggere le mie reazioni in risposta a comportamenti e ruoli relazionali che la paziente metteva in scena nel setting del colloquio per riuscire a comprendere quale fossero i pattern relazionali utilizzati dalla donna stessa nei suoi rapporti quotidiani.

Il caso di Francesca

Per riuscire a comprenderlo meglio vorrei portare una storia ad esempio.

Ore 22.30, ricevo un messaggio sul telefono: “Dottoressa ci possiamo sentire? Sono in ansia”. E’ nuovamente Francesca, una donna che seguo da circa 6 mesi allo sportello del Centro antiviolenza. Il mio primo pensiero è stato “Ancora! Non è possibile!”. La reazione di pancia è un forte fastidio, il percepire la mancanza di confini, il sentire invaso il mio spazio personale.

In prima battuta cerco di arginare queste sensazioni e, continuando con la linea di lavoro impostata per cercare di dare un setting ai contatti, la mattina successiva le rispondo ricordandole l’appuntamento fissato per il giorno dopo. Nella mia testa, però, continuavano a girare le sensazioni avvertite come un insistente campanello di allarme. Perché una donna che ho valutato, vista la sua storia e dato che vive la propria relazione di coppia come condizione sine qua non per la propria esistenza al punto di annullarsi e non ascoltare i propri bisogni e quindi di soffrire di una forte dipendenza affettiva, mi ha suscitato reazioni così forti? Cosa c’era che non stava funzionando?

Ho iniziato a ripercorrere i colloqui per meglio comprendere e dare senso a queste mie sensazioni.

Immagine di donna al computer

Francesca si è rivolta al centro antiviolenza 6 mesi prima. La sua è la storia di una bambina poco vista da genitori presi dai loro impegni lavorativi, poco affettivi, poco capaci di darle un supporto emotivo e riconoscimenti positivi. Francesca racconta che fin dalla scuola media, quindi intorno ai 12 anni, ha sempre avuto “fidanzati” perché “mi faceva stare bene che c’era chi mi pensava”. Si è sposata a 20 anni e poco dopo ha avuto una figlia. Rispetto al suo matrimonio racconta che il marito è sempre stato molto presente e affettivo e che lei stava molto bene “fino a quando i miei sentimenti sono finiti”. Poco dopo la separazione ha iniziato una relazione con un uomo conosciuto su un social network: è emerso nel corso dei colloqui che la conoscenza virtuale era precedente alla separazione, ma si sono realmente incontrati solo quando Francesca ha lasciato il marito. La relazione con Paolo è tumultuosa: i litigi sono frequenti a causa della gelosia opprimente di lui, le pretese di Paolo molto pressanti e Francesca non riesce mai a dire di no, per cui costruisce la sua nuova quotidianità in maniera tale che possa rispondere ai desideri del compagno.

I litigi però diventano sempre più frequenti e Paolo inizia a rivelarsi anche violento sia a parole, con insulti pesanti, che nei fatti, con tirate di capelli e schiaffi. Francesca sembra non riuscire a sottrarsi da questa situazione, continua a ripetere di volergli bene e di voler riuscire a sistemare la situazione con lui. Afferma di non comprendere la sua gelosia, causa scatenante di ogni litigio. Solo dopo alcuni incontri mi racconta che, a seguito di ogni litigio con il compagno, lei cercava “sfogo” chattando sui social network, raccontando la sua storia e chiedendo consigli e pareri. Queste conversazioni avvenivano unicamente con uomini.

La dipendenza affettiva

La lettura che ho dato al quadro che Francesca mi ha presentato è quella di una donna incapace di stare da sola, appunto di una forte dipendenza affettiva: va alla ricerca di conferma e di affetto nella relazione con l’altro, è solo nel rapporto con l’altro che sente di avere un senso, un valore. E in questa direzione ho iniziato il lavoro con lei che però sembrava essere poco proficuo, non si innescava nessun cambiamento e la sensazione era quella di camminare in tondo tornando sempre al punto di partenza.

Questa sensazione unita a quelle “di pancia” suscitate dal messaggio mi hanno fatto capire che, seguendo questo mio primo pensiero ho messo in secondo piano importanti indicatori che segnalavano che Francesca soffre di una forma di dipendenza affettiva, ma ha anche tratti passivo-aggressivi su cui era necessario iniziare a lavorare. Infatti, la persona passivo-aggressiva agisce il suo potere nei confronti dell’altro negando e camuffando la propria rabbia, ritirandosi dalla comunicazione e giocando il ruolo della vittima portandolo fino all’esasperazione e facendo sì che sia l’altro ad agire la propria rabbia.

Nel percorso con Francesca ho quindi iniziato a mostrarle dove poteva essere la sua “parte di responsabilità” nei litigi con Paolo: lasciare libero accesso al suo profilo facebook facendo in modo che lui scoprisse che chattava con altri uomini, tempestarlo di messaggi nel momento in cui era al lavoro, per poi rifiutarsi di parlare con lui, o ancora ripetere in continuazione che lei lo metteva sempre al primo posto e lui invece al quinto dopo il cane. A partire dalla relazione con Paolo si è anche arrivati a riflettere sul perché “sembra che gli altri scappino da me”, come ha ripetuto diverse volte e quindi all’assoluta mancanza di una rete amicale.

Piccoli passi avanti nel percorso di ricostruzione del proprio sé e della propria dignità di donna sembra si stiano facendo, grazie al cambio di modalità di lavoro e soprattutto alle “sensazioni di pancia”.

AGGIORNATO IL: 13/09/2021

Laureata nel 2004 in Psicologia clinica e di comunità presso l'Università degli studi di Milano - Bicocca, nel 2006 consegue un master di secondo livello in "Violenza all'infanzia e psicologia del trauma" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con tesi dal titolo "Il trattamento degli abusanti", nel 2012 si specializza in psicoterapia ad orientamento sistemico-famigliare presso la scuola "Mara Selvini Palazzoli" di Milano.
Dal 2005 fino al 2019 ha lavorato per la cooperativa sociale "Il Sentiero" presso la comunità educativa mamma-bambino "Casa la vita" di Lecco, dapprima come operatrice e dal 2014 come coordinatrice. Dal 2013 riceve in libera professione e collabora con il Telefono Donna di Lecco, dove svolge colloqui di sostegno psicologico con donne vittime di violenza.
Dal 2019 svolge il ruolo di psicologa nell'equipe di tutela minori della Comunità Montana della Valsassina, Valvarrone, Val D'Esino e Riviera.

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