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Dopo gli ultimi episodi di violenza, il Governo si è affrettato a proporre una legge per introdurre l’educazione sentimentale nelle scuole. 

Senza entrare nel merito dei contenuti di  questa proposta di legge, faccio presente che educare per legge è non solo impossibile (come già diceva Freud: educare è una professione impossibile) ma anche irrispettoso, fino al limite della presa in giro, dei giovani.

Tutti si sono affrettati a cercare delle soluzioni, senza aver compreso quale sia veramente il problema. Questa fretta sembra un modo per scaricare un problema troppo complesso pensando di risolverlo con un intervento che dovranno fare altri (basta che non siamo noi), in questo caso la scuola. 

Lo Stato fa le leggi, deve farlo, ma in questo caso non è una legge che risolve il problema:  è come se qualcuno mi dicesse che ha capito, sa lui di cosa ho bisogno io. Come quei genitori che dicono di sapere qual è il bisogno dei loro figli, sanno qual è il loro bene. Il figlio deve solo subire. Tu decidi e io eseguo (non c’è la libertà, non c’è il soggetto) è un esercizio di potere. Ovviamente sono la persona interessata può sapere qual è il suo bene.

Uno stato che usa questa modalità prevaricatoria manca di rispetto per la persona, per i giovani, i ragazzi in particolare.

Una proposta alternativa

Dunque, immaginare che le cose si risolvano con i “corsi a scuola sull’affettivitá” non è solo un’illusione, ma è un modo per scaricare un problema senza averlo nemmeno compreso. Ci affretta a cercare una soluzione ma non si capisce a quale problema. 

Quando venne introdotto il concetto di educazione sessuale e in molti contesti venne anche praticato, il risultato fu più che deludente. Nessuno aveva capito cosa fosse la sessualità però ci si è affrettati a tentare di “educare” alla sessualità. Il risultato è stato che i ragazzi cercano di capirci qualcosa con altri mezzi. 

Di fatto da parecchi decenni i giovani cercano di scoprire cosa sia la sessualità sui materiali pornografici. Questa è la vera agenzia educativa, mentre tutti pensano di aver fatto il loro dovere perché hanno fatto educazione sessuale, nelle scuole, negli oratori, in parrocchia. 

D’altronde i ragazzi quale alternativa avevano? Chi potevano guardare, se non i film porno? Potevano imparare qualcosa di meglio dallo spettacolo, molto più osceno, dell’incapacità di relazionarsi e della violenza che vedono nella relazione tra tanti genitori, incapaci di avere un rapporto di coppia e ancor meno di farlo durare. Oggi la separazione è normale, addirittura viene pubblicizzata come qualcosa di naturale nelle coppie. Il messaggio è chiaro: l’amore non può durare, finirà, tanto vale prendersi quello che si può dall’altro e prepararsi alla fine. Perché siamo già nell’idea che tutto finisce.

I ragazzi sono stanchi di vedere questo spettacolo senza speranza, che li fa soffrire ogni giorno,  e cercano di arrangiarsi come possono, sperando che ci sia qualcosa di meno doloroso o addirittura (sognatori) qualcosa di più bello. Hanno trovato solo la pornografia a rispondere alla loro domanda, sul mercato non c’è altro.

Freud ha parlato moltissimo di sessualità e sviluppo sessuale, proprio per questo è stato accusato di pansessualismo (cioè di vedere sesso dappertutto). In realtà Freud intende la sessualità come relazione tra due soggetti diversi. L’ha chiamata sessualità perché la relazione comprende il corpo con le sue caratteristiche, compresa ma non essenziale, la differenza sessuale. Freud si è sempre interessato esclusivamente di relazioni, della loro evoluzione e di come si ammalano. Egli intendeva la relazione come punto originante la vita psichica del soggetto. Tutti nascono nei rapporti, si ammalano a causa di rapporti malati e guariscono grazie a rapporti sani. Freud sapeva bene che non esiste un soggetto senza rapporto.

Oggi viviamo in un epoca in cui le agenzie educative sono social, TV, whatsapp, internet. dove lo scontro, la violenza, l’insulto sono dominanti. I ragazzi sono assaliti da una cultura violenta dove bisogna prevalere sull’altro: tutti sono nemici. Il paradigma della nostra epoca è la paranoia sociale, a cui segue ovviamente la solitudine, secondo un’idea erronea per cui è inevitabile o meglio stare da soli e non bisogna fidarsi di nessuno, perché chiunque mi potrebbe ingannare. 

Siamo alla paranoia sociale e ci preoccupiamo del patriarcato. 

I genitori sono profondamente in crisi: i padri non fanno i padri, le madri non fanno le madri, con il risultato che i figli non sanno chi sono. 

Il dramma autentico di oggi è il vuoto: mancanza di rapporti, cioè solitudine, mancanza di certezze (è tutto fluttuante, non ci sono regole, o come in guerra), mancanza di principi degni di questo nome, abolizione del pensiero (a cui la psicologia ha sostituito la pura emozione). La vita psichica è diventata solo vita emotiva: quanto di più instabile ci sia, soprattutto se non è guidata da un’idea che sappia diventare un desiderio che vuole qualcosa.

Immaginare che la colpa sia del patriarcato e del “maschio”  è un modo sciocco per evitare di cogliere il problema.  

Immaginare che la scuola possa riempire il vuoto lasciato da tutto il resto è non solo illusorio, un modo per demandare allo stato la responsabilità dj creare giustizia, bellezza e verità. Nessuno più è impegnato a cercare bellezza, o la verità,  però si spera che un intervento esterno (addirittura per legge) possa aggiustare le cose anche senza la nostra partecipazione. Così siamo arrivati al paradosso di sperare che uno stato anonimo (ma non può essere altrimenti) ci dica cosa sono le relazioni, come si rispettano le persone, come si fa a voler bene agli altri.

Un recente saggio di Matteo Lancini si intitola: “Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta”

In altre parole, qualcuno, adulti, genitori, insegnanti, psicologi, specialisti di ogni genere dice ai giovani che devono essere loro stessi ma secondo i loro modelli. 

Il problema è che non solo li si inganna comandando a essere loro stessi (che invece è frutto della libertà personale) ma gli si impongono dei modelli (a modo mio) che non hanno nessun contenuto: è il vuoto, il nulla. 

Gli adulti di oggi sono fragili, molto fragili, perché dopo aver vissuto per anni nella logica narcisistica (esisto solo io e devo avere successo ad ogni costo) oggi non ce la fanno più. Pur di ottenere le migliori prestazioni per il risultato ottimale (secondo i loro criteri), hanno distrutto le regole di una minima convivenza civile, hanno ha cercato degli “aiutini” (vedi ogni tipo di sostanza tossica) per reggere i ritmi di quello che loro stessi si sono imposti, e oggi si ritrovano incapaci: hanno cercato l’onnipotenza e si sono trovati impotenti.

Se parliamo di genitori, questo senso di impotenza davanti ai figli è drammatico: dovrebbero assolutamente fare qualcosa, ma non sanno che pesci pigliare sono smarriti e disorientati. 

La proposta

Chiediamolo a loro

Non possiamo sapere qual è il bene dell’altro, se ci interessa dovremmo chiederglielo: dunque perché invece di fare leggi insensate non proviamo a chiedere ai ragazzi come possiamo aiutarli, di cosa hanno bisogno.

Una recente ricerca (di Telefono Azzurro) [1] sui giovani dai 12 ai 18 anni ha evidenziato che per molti di loro sarebbe molto utile insegnare ai genitori come essere vicino ai figli che stanno male. Vorrebbero che a scuola si parlasse di benessere psicologico (non di sessualità o affettività).

Il pensiero dei giovani è molto chiaro: i genitori non sono capaci di stare vicini ai loro figli. Stanno male, vorrebbero aiuto, vicinanza, ma i loro adulti non lo fanno e non sono capaci di farlo. Quindi chiedono che qualcuno insegni ai loro genitori a fare i genitori (il cui primo compito è appunto accompagnare i figli, stare vicini)

I ragazzi non chiedono allo stato o alla scuola di educarli all’ affettività. Chiedono ai loro genitori di stargli vicino. E chiedono alla scuola di parlare (mettere a tema) di benessere psicologico: in altre parole vogliono stare bene. 

Da questa richiesta si capisce subito quali proposte hanno senso e possibilità di successo (questa è la domanda, su questo si aspetta che gli venga dato qualcosa) per quanto molto difficili: 

  • aiutare i genitori (adulti fragili, tutti sono fragili non solo qualcuno). Non è interessante entrare nel merito operativo di questa proposta, si tratta di o orientare il nostro pensiero verso l’aiuto ai genitori, il resto seguirà.
  • rendere la scuola un luogo di ben-essere: i ragazzi cercano dei posti dove stare bene, che inevitabilmente passa per rapporti sani e giusti. Parlare non è distinto dal fare e dall’essere. 

Ho lavorato abbastanza con genitori e scuola per sapere che questi due luoghi del mondo giovanile devono stare insieme, fare coppia. Se famiglia e scuola si combattono, se la scuola deve temere la famiglia e non si crea uno spazio di lavoro comune e condivisione di pensieri e interventi non può esserci benessere per nessuno. Se la scuola comincia a proporre alla famiglia una collaborazione sulla semplice idea che entrambi hanno a cuore il benessere dei ragazzi forse si otterranno più benefici.

A conclusione una nota sui cosiddetti esperti, gli psicologi in primis, che tutti invocano come magici risolutori dei problemi e maestri di benessere. Faccio presente che la capacità di relazionarsi correttamente (in modo sano), la capacità di riconoscere e lavorare sulle proprie emozioni e sui propri affetti non la si impara studiando. Nessuna laurea, nessun albo professionale  può garantire questa competenza. La salute mentale non si può imparare studiando e non si può insegnare con dei corsi.

La salute mentale (il ben-essere psicologico) è una responsabilità personale, di ciascuno, la si impara vivendo, sulla base della propria competenza soggettiva.

Ciascuno di noi ha una competenza psicologica (cioè relazionale) su cui crescere: la storia individuale dirà se questa competenza è stata ammalata e come può guarire. Dunque niente esperti esterni a noi, siamo tutti esperti.

[1] Secondo quanto emerso dall’indagine del Telefono Azzurro su 800 ragazzi tra i 12 e i 18 anni, nelle ultime due settimane soltanto il 41% si è sentito felice. A un ragazzo su 2 il futuro appare come un qualcosa di davvero oscuro.
Per il 41% sarebbe molto utile insegnare ai genitori come essere vicini ai figli che stanno male, mentre il 39% auspica che a scuola si parli sempre di più di benessere psicologico.

Crediti: Adolescenti, Giovane ragazzo, Insegnante con bambini

Psicologo, psicoanalista.
Presidente della cooperativa Il Sentiero e consigliere della cooperativa la Clessidra. Responsabile della comunità Alda Merini. Uno dei fondatori dell’associazione Odòn.

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