La maggioranza ha sempre ragione, un falso storico.

Se ripercorriamo la storia dell’uomo, una storia sempre scritta dai vincitori e mai dai vinti, salvo rare eccezioni, ci rendiamo conto della realtà delle cose. Me ne vengono in mente due di queste eccezioni.

La storia di Gesù, solo nell’orto degli ulivi con la sua angoscia, solo sulla croce perché la folla lo aveva abbandonato. La maggioranza lo aveva condannato. E come estremo ludibrio con due ladroni accanto. Sarebbe bello se i credenti di oggi facessero il mea culpa per averlo crocifisso solo perché una minoranza non aveva avuto voce adeguata.

L’altra storia è quella di Anna Frank. Da sola, con il suo diario, ha rappresentato l’arma più potente per sconfiggere l’antisemitismo e il razzismo, entrando nel cuore degli uomini. Ma anche per lei una tragica fine l’ha segnata. Molte persone hanno distolto lo sguardo da un’altra parte e  permesso che finisse in un campo di concentramento. 

Immagine di donna afghana

Veniamo ad oggi, all’Afghanistan, alle donne afghane costrette dalla Sharia a tornare indietro di secoli. Secondo il falso storico dovremmo non prestare attenzione verso queste donne che in fondo rappresentano una minoranza e come tale, secondo la logica di molti, non avrebbe nessun diritto di  ribellarsi. Dovremmo abbandonarle al loro destino, peccato che il loro sangue e il loro dolore ricadrebbe sull’umanità intera e in particolare sempre sulle donne. La biologia ci insegna che ogni volta che in un essere umano o animale  si realizza un cambiamento questo si riflette su tutta la specie.

Allora io che faccio parte della maggioranza di donne che vivono libere e nel benessere, farei bene a preoccuparmi di queste mie simili e alla ricaduta che avrebbe sulla mia specie la loro schiavitù. Leggi crudeli prendono sopravvento, create dagli uomini che niente hanno di divino, per mantenere un potere che la natura non gli ha mai conferito. In questi giorni siamo stati circondati  da parecchi messaggi che desiderano manifestare la solidarietà a queste donne. Purtroppo si sono confusi con le migliaia di scritture che arrivano giornalmente per augurarci il buongiorno o la buonanotte. Messaggini apparentemente innocui ma che in realtà sono la manifestazione di un vuoto esistenziale in cui stiamo vivendo.

Per questo ho scelto di non diffondere questi messaggi di solidarietà che a parer mio possono solo servire a mettere a posto la nostra coscienza. Ho scelto invece di fermarmi a riflettere sulla condizione femminile in tutti i paesi del mondo. E ho dovuto constatare che la donna è ancora lontana anni luce dall’aver conquistato una vera e totale libertà. In qualunque ambito si  muova, che sia la casa, il lavoro, la vita sociale o spirituale, rimane sempre un passo indietro all’uomo, quando non è addirittura sottomessa. E sempre per quella legge non scritta  che la relega ad un ruolo secondario, con meno diritti e più doveri.

Allora sempre per quel principio che se cambia una cambiano tutte, il vero aiuto che possiamo dare a queste donne afghane è ribellarci a questa supremazia. Noi corriamo meno rischi di loro ma purtroppo siamo meno motivate ad attuare un cambiamento profondo. Noi ci siamo adagiate su un benessere effimero, sul quieto vivere, sulla paura di perdere quelle poche conquiste che ci siamo guadagnate lavorando sodo. Abbiamo paura di perdere le nostre certezze. Preferiamo vivere dentro quei limiti che ci hanno cucito addosso.

Se ognuna di noi, senza paura di rimanere sola e in minoranza, si facesse rispettare, desse voce ai suoi bisogni, e si riprendesse gli spazi che le appartengono, questi sì per volere divino, allora ogni nostra vittoria si ripercuoterebbe anche su queste donne che oltre ad essere minoranza sono schiave di quel potere maschile che non  riconosce loro nessun diritto, né di parola né di azione. Noi che abbiamo ancora spazi di libertà ribelliamoci a questo potere che sta portando giorno dopo giorno il nostro mondo verso il baratro. Uno dei significati della parola ribellarsi è “cercare il bello”. E chi meglio della donna può rappresentare la bellezza?

Franca

Rispondo a questa lettera con vera passione

E chi meglio della donna può rappresentare la bellezza? La natura ci collega sempre alla parte femminile del cosmo e senza valore e bellezza femminile andiamo incontro a effetti dispersivi, ad incongruità, come osserva giustamente Franca in questo suo scritto. Greta ne è un esempio forte, una voce unica che è diventata sempre più corale, immensa. Una voce che sta portando alcuni governanti ad una presa di coscienza, ad una consapevolezza importante, perché se calpestiamo la Natura di conseguenza anche noi faremo parte di quel ciclo di distruzione perché parte di Natura è in noi da quando facciamo parte della  grande Storia. 

Prendere posizione significa non prostituirsi alla mediocrità, non diventare complici di situazioni che stridono fortemente con l’atto di responsabilità. La sofferenza di queste donne, menzionate da Franca, va trasformata in verità e in una grande forza corale. Davanti a queste forze maschili, che una maggioranza abietta mette in luce, dobbiamo agire, comunicare, prendere posizione. A questo maschile che  difende le proprie paure con atti bellici  bisogna ergersi con forze di inaudita bellezza affinché la parola intesa come virtù emerga, si crei un proprio spazio di adempimento. 

Le paure di questi uomini che privano la società di una democrazia sociale sono trappole che tengono prigionieri tutti, e loro stessi ne rimangono vittime perché tolgono una parte di loro che è sempre stata femminile, che lo sarà sempre, essenziale all’alter ego. Con la loro arroganza e ignoranza desertificano buone virtù privando una loro crescita essenziale per maturare un buon equilibrio emotivo con il proprio sé. Come sempre poi cadono nell’artificio velenoso di far gruppo fraternizzando in leggi disumane.

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Sono ancor più le madri, come fonti educatrici, che devono costruire questo grande passo generazionale e diventare anche sostenitrici di altre donne soprattutto quando si incontrano realtà affini alla violenza o alla sopraffazione. La voce qui non dovrebbe mai mancare ed essere corale da fare breccia nella incomunicabilità emotiva del maschio.

Smascherare quelle trappole esistenziali è impresa ardua ma se cavalchiamo il desiderio di poter trasformare la caducità, perché di questo si tratta, nella possibilità di crescita collettiva, tutto è coltivabile e raggiungibile. Se c’è un desiderio forte dobbiamo riuscire a farlo agire e solo se questo desiderio viene cavalcato come motore dell’esistenza riusciamo ad andare verso il cambiamento. Il desiderio va a braccetto con una propria autorealizzazione e in quanto donne, ognuna di noi nella nostra realtà, deve lavorare sull’autostima, sulla crescita personale per il grande ruolo che ci compete e che possiamo esercitare nel pieno delle nostre virtù solo se non rimaniamo braccate nel pensiero ma libere.

Se viene poi a mancare la Cultura e il suo esercizio attraverso gli studi, a queste donne manca il pane quotidiano, il valore della vita.

Il nostro ruolo fautore anche di bellezza cosmica è imprescindibile dal concetto vero di vita e questo senso forte lo dobbiamo recuperare, soprattutto se la visione maschile è così virulenta,  perché rischiamo di compromettere quella bellezza unificatrice che tanto crea in crescita ed evoluzione mentre sappiamo bene che la Cura e l’Educazione esercitano sempre la grande differenza. E da millenni, e nessuno può smentirci,  ci occupiamo di cura e di educazione e quindi la nostra parola detiene il senso forte di aggregazione.

Il lavorare con il maschile è valore necessario, oggi, perché la sensibilità delle donne è contenitore nevralgico su cui investire per proiettarci verso il nostro futuro con più democrazia e benessere. La dimensione emotiva spesso viene autocensurata come se fosse sfregio all’esistenza, incompatibilità all’ esistere. Questo è un grosso errore che tutti noi facciamo e ad insegnarcelo sono anche sempre più uomini come nella nostra Italia menzioniamo ad esempio Umberto Galimberti, Eugenio Borgna, Massimo Recalcati, Michele Serra, il nostro padre Francesco, che sanno dare voce alla forza dell’educazione sentimentale, alla cultura emotiva, all’integrazione del diverso, al valore dell’essere donna. Ecco queste voci devono sempre più essere corali e moltiplicare tutti gli sforzi perché la vera parità venga costruita come sintomo di una società etica di forze ugualitarie. Sono certa che il maschile più riuscirà a comprendere la sua visione interiore più si avvicinerà al nostro cielo.

Sonia Scarpante – Comitato editoriale Odòn

Crediti: Donna col velo – pixabay.com

Immagine di copertina: Donna – pixabay.com

Presidente associazione La cura di sè, docente, formatrice e scrittrice. Docente di scrittura terapeutica e formatrice per operatori sanitari e educatori. Master per operatori con metodologia registrata Metodo Scarpante

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