Daniela Vecchi nasce professionalmente come architetto, ma ben presto scopre la sua vera vocazione, l’arteterapia. Ha detto di sé: “Dipingere è per me la via più semplice per entrare in contatto con le emozioni, per far risuonare le note interiori più nascoste. Attraverso la pittura mi racconto e trovo così il modo di esprimere e comprendere vissuti profondi che difficilmente potrebbero emergere in altro modo, una sorta di terapia dell’anima”. Una esperienza di indagine che ha voluto mettere al servizio della cura dell’altro. In questo colloquio dialoga con Sonia Scarpante in forma di intervista.

Tu ti occupi di arteterapia e nel tuo articolo pubblicato parli anche di terapia come ascolto di sé, di valorizzazione delle proprie risorse. In che modo la tua esperienza personale ti è stata di aiuto nel prendere coscienza di queste feconde opportunità.

La scelta di seguire la scuola di arteterapia è stata una fra le esperienze più trasformative della mia vita.

Venivo da un periodo di crisi. L’esperienza di lavoro precedente si era conclusa in modo deludente, avevo investito energie in un progetto di lavoro autonomo senza raggiungere gli obiettivi sperati. Mi sentivo svuotata e con poca fiducia nelle mie risorse. Sentivo il bisogno di trovare qualcosa che facesse vibrare le corde interiori, avevo bisogno di uno stimolo esterno per ritrovare la mia centratura. È stato proprio in quel periodo di buio che “casualmente” avevo sentito parlare di una scuola di arteterapia… informarmi e iscrivermi è stato un tutt’uno!

Non ne avevo mai sentito parlare prima, non avevo idea di come avrei messo a frutto quella scelta ma ho seguito un richiamo molto forte dentro di me, non razionale sicuramente. E il mio cammino prima ancora che formativo è stato di ritrovamento e cura di me stessa. La voce interiore mi sussurrava che il mio talento non era quello di promuovere attività commerciali o simili. Il mio talento fioriva a contatto con la Creatività, con la cura e la relazione.

Ciò che ha rimesso in circolo la mia energia è stato scoprire che ognuno di noi ha risorse inesauribili che spesso rimangono silenti sotto il peso di scelte che non scaturiscono dalla propria parte più vera. Risvegliare la Creatività ha rimesso in moto la mia vita, ha ridato impulso al mio desiderio di esprimermi. Ho iniziato a dialogare con la mia Anima, e questo mi ha permesso di ritrovare la mappa.

Ogni persona ha dentro di sé tutte le risposte ai quesiti della propria vita. Si tratta di rivolgere i sensi all’interno e di ascoltare, osservare, darsi il tempo per lasciare emergere la propria verità. Non c’è nessuno esterno a noi che possa indicare la strada da percorrere, va ritrovata con pazienza prendendosi per mano, in un cammino di ricerca interiore.

L’arteterapia mi ha riportato sulla strada del cuore. L’espressione artistica, la pratica creativa, sono strumenti che utilizzano il linguaggio dell’Anima e grazie a questo fortunato incontro ho individuato la via per ritrovarmi e valorizzare i miei talenti.

Per questo ho scelto questo lavoro, porto la mia esperienza e testimonianza.

Come tu asserisci, durante il processo creativo le persone entrano in relazione con il loro modo interiore. Ci puoi dire quali sono le caratteristiche più emergenti scaturite dalle loro riflessioni? Qualche loro esperienza ti ha colpita più di altre e perché?

Ciò che osservo ogni volta è che le persone non sono consapevoli della profondità e ricchezza delle loro risorse interiori. Quando iniziano il percorso espressivo spesso pensano di non essere creative o di essere bloccate. Si sentono inserite in un ritmo di vita che non lascia spazio alla parte creativa vissuta per lo più come lusso (nel senso di trovare il tempo per dedicarvisi) o come attività hobbistica, quindi non prioritaria.

Quando finalmente si concedono di incontrare la loro creatività durante un laboratorio di arteterapia scoprono la porta che conduce in un mondo parallelo! Non è così, ovviamente, quel mondo è qui ed è reale ma per chi non è abituato a frequentarlo la prima cosa che provano è stupore e incredulità.

Sentono di aver attinto ad una fonte che non ricordavano più di avere e la magia è che si riattiva immediatamente.

Il linguaggio della creatività lo conosciamo tutti benissimo ma non lo ricordiamo perché il nostro sistema educativo lo penalizza.

Il lavoro laboratoriale è strutturato in modo tale da condurre la persona ad entrare in quel mondo in modo semplice, diretto, intuitivo. È una sorta di viaggio che compiono tuffandosi nelle profondità del loro Essere. Scoprono che non serve avere già un’idea definita a priori.  Spesso ritengono di non sapere come svolgere la consegna perché l’approccio iniziale avviene con la parte logica razionale. Poi seguendo le mie indicazioni, qualche minuto di centratura, l’ambiente favorente, i materiali che attraggono con le loro qualità, lasciano la mente in secondo piano e si aprono a ricevere la voce interiore che fa da guida all’azione creativa. Si fanno condurre dalla sensorialità, dalle mani, in una modalità di ascolto profondo.

È bellissimo accompagnare questo viaggio, ed essere testimone del loro stupore quando termina la fase creativa!

Si meravigliano di tanta facilità di espressione, della chiarezza che si fa strada e indica quale materiale prendere, quale colore scegliere o quale segno creare. Una chiarezza che non è dettata dalla mente ma dal loro sentire e per questo autentica, senza filtri, nitida.

Riemersi da quello stato di flusso, che è poi uno stato di Presenza, osservano la loro creazione, trovano significati che risuonano, fanno connessioni tra il disegno e il loro sentito. E comprendono che esistono punti di osservazione diversi da quelli che sono abituati a utilizzare, prospettive che mostrano soluzioni a cui non avevano pensato e che sono giuste e vere per loro.

E scoprono di avere risorse che non si riconoscevano!

Inoltre, in modo concorde, si ritrovano in una condizione di benessere e di rilassamento. E quasi sempre succede che lo stato interiore al termine dell’incontro è cambiato profondamente rispetto all’inizio, in meglio ovviamente! Li osservo e vedo lo sguardo cambiato, il viso più disteso… veramente, gli effetti sono visibili esteriormente e questo è un indicatore che hanno raggiunto la loro essenza, l’Essere.

Non ho memoria di esperienze particolari in questo senso, in forma più o meno marcata e con tempi diversi tutti vivono questi momenti. C’è chi ha un insight immediato, c’è chi ha bisogno di sedimentare e lasciare emergere gradualmente gli effetti e le consapevolezze e li osserva nei giorni a seguire.

Leggi anche Il coraggio di parlare e la forza di ascoltare di Daniela Vecchi

Quale viaggio intraprendono con quel segno e quali emozioni emergono da questa nuova pratica di vita? Si sviluppa in loro un nuovo desiderio?

A questa domanda ho già risposto prima in parte. Posso aggiungere che non sempre il viaggio interiore è indenne da emozioni forti. A volte si contattano nodi, emozioni cristallizzate nel tempo e proprio perché si attenuano le difese della mente e della personalità, il contatto a volte muove dolore, tristezza, ecc.

L’approccio creativo è comunque morbido, sa lenire e prendersi cura. Quindi quell’emozione intensa trova spazio attraverso la forma simbolica per esprimersi e mostrare poco alla volta i suoi contenuti. E gradualmente mostra anche come poterla trasformare per trovare un nuovo modo di integrare quell’esperienza.

Un’emozione rappresentata attraverso un disegno o un materiale mette in luce aspetti totalmente diversi rispetto a ciò che conosciamo, offre la possibilità di agire su quella forma e modificarla. È un’azione simbolica di grande efficacia e i benefici di questa pratica si riversano nella vita di tutti i giorni: imparo a gestire con le stesse modalità anche le piccole o grandi difficoltà quotidiane.

Immagine arte-terapia intervista vecchi

A volte tu affermi che alcune parole non riescono ad arrivare alla persona quando si vivono periodi di grande fatica o di sofferenza. Come può aiutare quel segno, quel colore, ad entrare in un percorso di cura dove la persona inizia ad osservare quella sua sofferenza e a trasformarla in crescita personale?

Quando un vissuto è traumatico le emozioni che lo hanno accompagnato si congelano, come ho detto nel punto precedente. Si crea un blocco che ha lo scopo di proteggere il nostro equilibrio, la nostra integrità. Quel ricordo rimane comunque impresso nelle nostre cellule corporee e ricontattarlo può risultare difficile, di conseguenza anche descriverlo con le parole.  Spesso non si trovano le parole giuste perché tutto è cristallizzato in quel blocco.

Allora andare in quell’esperienza con il linguaggio non verbale permette di esprimere ciò che sento senza le parole: posso dare una forma, un colore, tracciare un gesto che descriva simbolicamente quel sentire. Il linguaggio sensoriale è il linguaggio del corpo, hanno lo stesso codice, ed è un linguaggio diretto, immediato che non è filtrato dalla mente razionale.

La rappresentazione di quel sentire diventa un ponte per dialogare con l’interiorità e raggiungere quella memoria sedimentata. Solo in un secondo tempo si potrà dialogare anche con le parole.

L’osservazione consapevole del disegno – accompagnata dall’arteterapeuta che sostiene, incoraggia, accoglie – porta a riconoscere poco alla volta i contenuti che affiorano alla coscienza e questo apre la strada alla soluzione, alla trasformazione, alla catarsi. Conduce ad integrare l’esperienza e a generare una nuova consapevolezza.

Non di rado il lavoro arteterapeutico si allea con il percorso psicoterapeutico. Nella mia esperienza quando è capitato di lavorare in parallelo ad un trattamento psicologico ho visto risultati molto interessanti.

Quanto aiuta l’approccio intuitivo e liberatorio in questo percorso di costruzione? Quanto quel vedere e dare forma all’immaginazione sollecita la pratica dell’agire, il formare alla consapevolezza? Puoi descrivere una esperienza che più di altre  ti ha segnata?

Entrare nel proprio mondo di immagini per rielaborare frammenti della storia personale e ricucirli con una visione nuova spesso apre la strada ad una comprensione che va a nutrire la consapevolezza.

Ricordo, fra tutte, un’esperienza che ha lasciato una traccia profonda in me: il percorso con G. una giovane donna ospite di un Centro di Cure Palliative dove per anni ho svolto attività di volontariato.

G. aveva un vissuto segnato da esperienze molto dolorose che ora sentiva il bisogno di rileggere e rielaborare prima di concludere la sua esistenza terrena. Farlo attraverso un percorso psicologico era prematuro, troppo forte il dolore sedimentato. L’arteterapia le viene in aiuto: G. individua nell’espressione artistica la via per addentrarsi nella sua zona d’ombra che gradualmente si svela in forme via via più dettagliate ed esplicite ma sempre ed esclusivamente sul piano simbolico.

Le consapevolezze progressivamente emergono e raggiungono il piano  del cuore, mantenendosi quasi esclusivamente in quella dimensione, quindi in una visione non analitica ma di sintesi, narrativa.

I suoi disegni, zeppi di elementi magici, onirici, simbolici, le mostrano una mappa orientativa della realtà in cui trovare nuove coordinate in grado di renderle accettabile e percorribile il cammino complesso e doloroso di riconnessione con le sue radici, i suoi vissuti traumatici, di ascolto dei suoi bisogni e paure, rimanendo sul piano simbolico.  Da qui poteva poi distillare lentamente i contenuti verso un piano di coscienza consapevole.

Attraverso il percorso espressivo G. riesce ad entrare in contatto con le esperienze dolorose ma anche con grandi risorse che la tengono a galla nel suo cammino di riconnessione con se stessa.

Per i pazienti affetti da patologie come l’Alzheimer o per i soggetti autistici quanto può essere utile esprimere l’emozione attraverso il segno?

Nelle situazioni in cui vi sono compromissioni delle abilità cognitive l’espressione artistica diventa il tramite comunicativo tra mondo interno e mondo esterno. Le immagini contengono simboli e codici riconoscibili che consentono uno scambio relazionale. 

Inoltre può avere effetti sul comportamento come regolatore delle emozioni e come contenimento degli stati ansiosi.

Analogamente con i soggetti autistici l’arte offre una via più fluida di espressione delle emozioni e la possibilità di raccontare di sè con più facilità rispetto alla modalità verbale.

In entrambe le situazioni utilizzare l’arte come forma di espressione di sé porta beneficio complessivo alla persona perché va a stimolare la parte sana, quella da cui attingere risorse.

Quanto riesci tu a veicolare le emozioni degli altri rendendoli partecipi al percorso di rinascita.Ti stimola e ti aiuta questa conoscenza anche nel comprendere te stessa?

La mia presenza è al fianco della persona, la accompagno, di solito un passo indietro. Il mio compito è di facilitare il riconoscimento e l’espressione di ciò che si muove in loro senza forzare o anticipare qualcosa che non è pronto ad emergere. È una posizione di profondo rispetto del sentire dell’altro e raramente intervengo indirizzando verso una direzione che percepisco interessante se la persona stessa non la prende in considerazione. Quello che invece sento di fare è valorizzare i passaggi significativi e potenzianti che la persona compie. Metto in luce i passaggi importanti, una sorta di ricalco perché chi li compie li consapevolizzi e li integri nel suo essere. Certamente io stessa sono in gioco in questo percorso, rifletto e mi vedo riflessa ed è sempre una crescita anche per me, una relazione di fiducia in cui ci si dona reciprocamente. Nella relazione d’aiuto non può essere diversamente.

Cosa significa per te oggi “ fare Cultura” e prendersi Cura.

Prendersi Cura è riprendersi la propria responsabilità nei confronti della vita nel senso di attivare la capacità di rispondere consapevolmente a ciò che la vita ci chiama a vivere, senza delegare, senza sentirsi vittime. Presuppone ascolto, presenza, impegno. E come imparo a prendermi cura del mio Essere così posso farlo anche nei confronti dell’Altro, senza caricarlo di aspettative, rispettando il suo spazio e il suo personale cammino.

È un cammino di crescita verso l’adultità.

Cosa significa fare Cultura… non saprei, esattamente. Mi viene solo da dire che si parte dalla Cura aggiungendo Conoscenza, ricerca, studio.

Due dimensioni che devono integrarsi e nutrirsi l’una dell’altra.

Presidente associazione La cura di sè, docente, formatrice e scrittrice. Docente di scrittura terapeutica e formatrice per operatori sanitari e educatori. Master per operatori con metodologia registrata Metodo Scarpante

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