Fra gli aspetti più spinosi dell’esperienza umana con cui bisogna scendere a compromessi ci sono il nostro profondo legame con gli altri (nel campo interpersonale) ed il profondo radicamento degli altri nelle nostre menti (nel mondo interno) (Mitchell, 2002). Gli esseri umani sono inseparabili dal campo interpersonale in cui si trovano, la personalità, infatti, prende forma in un ambiente composto da altre persone, non è qualcosa che si trova “dentro” l’individuo, ma compare nell’interazione con gli altri (Sullivan, 1940). Le menti umane sono dunque fenomeni interattivi e la soggettività si sviluppa sempre nel contesto dell’intersoggettività.

“È corretto (ed è un grande miglioramento) cominciare a pensare alle due parti in

interazione come a due occhi, ciascuno dei quali ha una visione monoculare

di ciò che accade, e che insieme consentono una visione binoculare

in profondità. Questa doppia visione è la relazione”

Gregory Bateson

Sullivan

Dal punto di vista interpersonale, concentrarsi sull’individuo senza prendere in considerazione le sue relazioni passate e presenti strappa l’oggetto di studio dal contesto che lo rende comprensibile, è un po’ come tentare di studiare il comportamento animale osservando l’animale in gabbia anziché nel suo habitat naturale. Secondo Sullivan (1938) la mente umana è frutto delle interazioni tra gli individui, dunque è essenzialmente sociale; la mente ricerca il contatto, il rapporto con altre menti, ed è per questo fondamentalmente diadica ed interattiva.

Le teorie ispirate al modello relazionale che hanno dominato il pensiero psicoanalitico degli ultimi decenni sono varie ed eterogenee, ma ciò che le unifica è la visione dell’individuo come essere costruito da e inevitabilmente inglobato in una matrice di relazioni con altre persone, un individuo che lotta sia per mantenere i suoi legami con gli altri, sia per differenziarsi da essi. L’individuo può essere di conseguenza compreso solo sullo sfondo delle sue relazioni passate e presenti e l’indagine psicoanalitica comporta una condivisione, un’osservazione, uno svelamento ed una trasformazione di queste relazioni e delle loro rappresentazioni interne.

Bowlby

Tra coloro che hanno contribuito alla crescita del pensiero psicoanalitico negli ultimi decenni vi è Bowlby a cui si deve l’introduzione del concetto di attaccamento, termine che si riferisce a quella tendenza innata da parte dei bambini a creare legami affettivi privilegiati con almeno una persona adulta (caregiver) che si prende cura di loro a partire dalla nascita. In modo molto simile a quanto avviene ai piccoli di altre specie che in un periodo critico precoce subiscono un imprinting potente, automatico ed irreversibile che li lega a chi si prende cura di loro, il neonato umano si lega intensamente ed automaticamente a chi si prende cura di lui (Bowlby, 1969).

L’autore evidenzia come la sicurezza affettiva dipenda dalla fiducia nella disponibilità delle figure di attaccamento e si costruisca gradualmente attraverso le esperienze della prima infanzia. Sin dai primi giorni di vita il neonato è in continua interazione con gli altri e queste relazioni precoci, così come quelle successive, non vengono semplicemente registrate ed archiviate, ma esperite attraverso modelli di risposta fisiologica, tratti costituzionali di temperamento e sensibilità.

Accudimento

La capacità di una madre di contenere nella propria mente la rappresentazione del bambino come un essere che ha sentimenti, desideri ed intenzioni consente al bambino di scoprire la propria esperienza interna per mezzo della rappresentazione che ne ha la madre (Fonagy, 2005). Alla base di un accudimento sensibile c’è proprio l’osservazione materna dei cambiamenti che avvengono momento per momento nello stato mentale del bambino e la loro rappresentazione dapprima con la mimica e l’azione e poi a parole e con il gioco (Fonagy & Target, 1996).

Può accadere che il bambino non venga visto per quello che è davvero ma solo alla luce delle proiezioni e delle distorsioni del genitore. Genitori abusanti e disturbanti sono in grado di annientare l’esperienza dei figli con la propria rabbia, odio, paura e malevolenza e ciò porterebbe il bambino a vivere la propria vita interna come inaccessibile ed inconoscibile (Slade, 2010).

Gli affetti non contenuti dalla madre, o mal rappresentati e distorti, rimangono indeterminati, terrificanti e non rappresentabili, tali da condurre negli anni successivi ad una vasta gamma di fenomeni e patologie di stampo borderline (Slade, 2010). Queste esperienze condurrebbero dunque ad un senso di sé frammentato e vuoto e ad una incapacità di sviluppare con gli altri delle relazioni che possano essere di sostegno e di aiuto alla crescita.

Strange situation

Mary Ainsworth ha operazionalizzato il concetto di attaccamento di Bowlby sviluppando un setting controllato straordinariamente produttivo che ha chiamato “Strange Situation”, dimostrando empiricamente la stretta relazione tra la mutevole responsività genitoriale a casa ed i diversi stili di attaccamento dimostrati dai bambini in una circostanza nuova caratterizzata da una separazione controllata dalla madre.

Più recentemente, Main (1995) ed i suoi collaboratori hanno studiato i fenomeni dell’attaccamento nel corso delle generazioni, esplorando la relazione tra le esperienze di attaccamento precoci di un genitore e lo status di attaccamento del figlio misurato tramite la Strange Situation.

Hanno dunque sviluppato la “Adult Attachment Interview” per determinare retrospettivamente la natura delle esperienze precoci di attaccamento del genitore, partendo dal presupposto che quanto migliori sono state queste esperienze, tanto più è sicuro il genitore, tanto più è sicuro l’attaccamento che il figlio sviluppa nei suoi confronti. Ciò che è cruciale non è tanto il contenuto di quello che è accaduto, gli eventi ed il comportamento reali, quanto l’organizzazione narrativa per mezzo della quale ha processato il passato.

Ogni bambino ha una vasta gamma di possibilità, l’interazione con altre persone significative nei primi periodi della vita limita questa gamma, riducendo la possibilità a determinati canali.

Osservare i modi in cui un bambino cerca o evita la vicinanza o gestisce la paura con una figura di accudimento o come un adulto riflette sulle esperienze affettive e le proprie relazioni primarie è determinante per capire come essi regolino le esperienze affettive ed interpersonali.

Dunque, affinché lo Psicoterapeuta possa davvero entrare in contatto profondo e significativo con i pazienti è importante che utilizzi la propria sensibilità ai fenomeni dell’attaccamento (Slade, 2010).

Immagine madre figlia

Psicopatologia

L’intero spettro della psicopatologia può essere definito nei suoi termini più generali come rigidità di una vasta parte del funzionamento mentale quotidiano che allontana una persona da se stessa e dal suo esserci autenticamente nelle relazioni interpersonali.

Le malattie della mente sono quelle che “la rendono rigida impedendole di pulsare come il cuore, di espandersi e contrarsi come il diaframma durante il respiro, di fluttuare percettiva e senza giudizi. Le malattie della mente sono quelle che non ci fanno giocare con la realtà, poiché non possiamo più vederla direttamente, ma solo sbirciarla attraverso le lenti deformanti di schemi, memorie di relazioni che rappresentano pregiudiziali modalità di sentire, di pensare, di valutare le esperienze e quindi di relazionarci con noi stessi e con gli altri” (Amadei, 2005).

Stern (1985) ha evidenziato come le “memorie delle relazioni” prendano le forme di “regole procedurali” mediante le quali si determinano le aspettative circa il comportamento proprio e altrui, orientando in tal modo la dinamica degli incontri interpersonali.
L’analista e la situazione psicoanalitica forniscono un ambiente di holding in cui lo sviluppo del Sé che sembrava abortito può essere rianimato in condizioni sufficientemente sicure perché il vero Sé cominci ad emergere.

Al paziente viene offerto un rifugio dalle esigenze del mondo esterno, l’unica cosa che ci si aspetta è di essere nella situazione psicoanalitica, entrare in contatto ed esprimere ciò che si sta vivendo (Winnicott, 1958). Winnicott vedeva nel paziente una forte capacità autoriparativa, considerando la situazione psicoanalitica come qualcosa che viene plasmato e adattato per fornire gli aspetti ambientali che sono mancati durante l’infanzia.

Psicoanalisi

La Psicoanalisi è una disciplina soggettiva in cui il soggetto osserva se stesso mentre agisce, pensa o prova emozioni e l’elemento specifico che la caratterizza è l’esame della vita inconscia che può essere esperita solo con mezzi introspettivi. In particolare, nella vita inconscia ci sono esperienze non osservabili coscientemente, ma passibili di successivo ed indiretto riconoscimento. Il compito dell’analista nel lavoro clinico consiste nell’intuire un legame in un insieme di dati sensoriali, immagini, ricordi ed emozioni fino ad allora slegati e privi di significato (De Masi, 2016).

È certamente fondamentale e primaria la relazione di attaccamento del paziente al terapeuta in grado di offrire la funzione di “base sicura”, premessa essenziale per l’esplorazione, lo sviluppo ed il cambiamento (Slade, 2010).

Il modo più utile di guardare alla realtà psicologica è operare all’interno di una matrice relazionale che comprenda sia l’intrapsichico che l’interpersonale, due ambiti che si creano, si compenetrano e si trasformano a vicenda in modo complesso e sottile.

Il processo psicoanalitico non è tanto una cura per la psicopatologia, ma, in senso più ampio, un’esperienza strutturata in modo unico che permette la possibilità di allentare i limiti inevitabili prodotti dai residui delle esperienze precoci.

“L’attaccamento intimo agli altri esseri umani costituisce il perno attorno a cui ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà, nell’adolescenza, ma anche negli anni della maturità, e poi, ancora, nella vecchiaia”

Bowlby (1980)

Bibliografia

Donald Winnicott (1945). Lo sviluppo emozionale primario. Dalla pediatria alla psicoanalisi, pp.196-211.

Franco De Masi (2016). Psicopatologia e Psicoanalisi clinica. Concetti e sviluppi. Mimesis.

Gherardo Amadei (2005). Come si ammala la mente. Il Mulino.

Glen O. Gabbard (2011). Introduzione alla psicoterapia psicodinamica. Raffaello Cortina Editore.

Jon Allen, Peter Fonagy & Anthony Bateman (2008). La mentalizzazione della pratica clinica. Raffaello Cortina Editore.

Judith M. Hughes (1991). La psicoanalisi e la teoria delle relazioni oggettuali. M. Klein – W. R. D. Fairbairn – D. W. Winnicott. Astrolabio.

Pietro Barbetta & Umberta Telfener (2019). Complessità e psicoterapia. Raffaello Cortina Editore.

Pietro Roberto Goisis (2020). Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti. Enrico Damiani Editore.

Slade (2010). Relazione genitoriale e funzione riflessiva. Teoria, clinica e intervento sociale. Casa Editrice Astrolabio.

Stephen A. Mitchell & Margaret J. Black (1996). Storia del pensiero psicoanalitico moderno. Bollati Boringhieri.

Stephen A. Mitchell (1993). Gli orientamenti relazionali in Psicoanalisi. Bollati Boringhieri.

Stephen A. Mitchell (2002). Il modello relazionale. Dall’attaccamento all’intersoggettività. Raffaello Cortina Editore.

Psicologa Clinica e Psicoterapeuta in formazione. Laureata nel 2018 in “Psicologia Clinica e Neuropsicologia nel Ciclo di Vita presso l’Università di Milano-Bicocca e dal 2020 iscritta all’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Dal 2019 volontaria presso la Comunità Riabilitativa ad alta assistenza di Saronno (ASST Valle Olona). Specializzanda in Psicoterapia presso la Scuola Area G di Milano ad orientamento Psicoanalitico per Adolescenti e Adulti. Da Ottobre 2020 lavora per la Cooperativa Sociale “Il Sentiero” presso la Comunità Alda Merini di Castellanza (VA) in qualità di Educatrice.

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