Non si parla d’altro, cioè non si pensa ad altro, e questo dovrebbe dirci qualcosa sulla nostra poca libertà di pensiero, su quanto sia fissato e ossessionato il nostro pensiero.

Questo possiamo osservarlo indipendentemente dal contenuto: veniamo da un lungo periodo in cui non si è parlato d’altro che di virus (numeri, coprifuoco, guerra alla pandemia, morti), ora ci siamo infilati nel pensiero monotematico in cui non si parla d’altro che di Putin (Russia, Ucraina, guerra, morti)

Dovrebbe essere facile osservare che il pensiero è lo stesso: la guerra. Poco importa se alle piantine dell’Italia, divise in regioni che erano zone rosse o bianche si sono sostituite le piantine dell’Ucraina, se ai numeri di morti di Covid si sono sostituiti i morti per i bombardamenti, se alla strategia per combattere la pandemia si è sostituita la strategia di Putin e la strategia per combattere Putin.

Abbiamo sempre in testa la guerra.

Addirittura in medicina si parla di guerra alla malattia.

Immagine di persone con la mascherina

In fondo anche i pacifisti hanno sempre in mente la guerra, nel loro continuare a professare il ‘no alla guerra’.

Dovremmo aver il coraggio, per una volta, di concludere che abbiamo la “guerra in testa” e che la conflittualità con l’altro è l’espressione di una guerra che è dentro ciascuno di noi, anche se solo in alcune occasioni emerge.

Il conflitto irrisolto

Ma questo ha presa sul nostro pensiero, solo in chi non ha risolto la guerra (il conflitto) che ha dentro.

L’essere umano è ambivalente, in lui albergano sempre due spinte che sono (apparentemente) in contraddizione: la pulsione di vita e la pulsione di morte, come Freud (il padre della psicoanalisi) ci ha insegnato. Possiamo facilmente riconoscerla in amore e odio, attrazione e repulsione, piacere e disgusto, guerra e pace ecc. Ma, se nella persona normale questa ambivalenza si risolve nel prevalere della spinta vitale sulla spinta mortifera, nella persona irrisolta il conflitto rimane aperto e diventa tutto interno al soggetto. Questo porta ad una serie di contraddizioni, che vediamo nei repentini cambi di fronte nei rapporti: gli amori apparentemente più forti si trasformano in odio viscerale, le persone più pacifiche si possono trasformare in nemici estremamente determinati e aggressivi e così via.

La stessa cosa possiamo notarla, ad esempio, nei repentini cambi di umore e nell’alternarsi di euforia e depressione.

In altre parole, il conflitto esterno, che sia un conflitto tra due o guerra tra nazioni, è comprensibile se lo riconosciamo come conflitto interno.

Immagine di guerra
Immagini di guerra

La cultura della guerra

Dobbiamo riconoscere che esiste una cultura della guerra in cui siamo tutti immersi. Basti pensare a quanti sognano che Putin venga “fatto fuori”, cioè ucciso. “Fare fuori” fa parte del nostro linguaggio abituale: “facciamola fuori” è un modo di pensare alla soluzione di un alterco, “ti faccio fuori” è un modo simbolico per segnalare la rabbia verso un’altra persona. 

Cultura che si può intendere come coltivazione: non si coltiva solo l’insalata, si coltivano anche i pensieri. Ed eccoci tornati al punto di inizio: non abbiamo in testa altro, vuol dire che noi coltiviamo continuamente, testardamente il pensiero della guerra, in tutte le forme in cui la possiamo concepire. 

I mezzi di comunicazione non sono certo innocenti su questo, anzi dettano i tempi e i temi del nostro pensare.

La cultura della cura

Preferiamo coltivare la cura, preferiamo pazientemente lavorare per la cultura della cura, del prendersi cura dell’altro e di noi stessi innanzitutto. Le espressioni umane di questa coltivazione non hanno limiti, spaziano su tutto lo spettro che le passioni possono pensare. La musica, intesa come cura delle emozioni, la politica, intesa come cura della comunità umana, l’arte, intesa come cura del bello, la lettura, intesa come cura del pensiero, sono solo alcune applicazioni della cultura della cura, del prendersi cura di noi stessi e di tutti gli altri. Così il musicista suona per sé innanzitutto (gli piace) e suona per gli altri, sperando che qualcuno lo ascolti. Il sindaco ha piacere ad occuparsi della sua città e si mette a disposizione dei suoi concittadini. L’artista dipinge per sé ma anche perché qualcuno guardi le sue opere. Lo scrittore scrive per sé, ma anche perché qualcuno lo legga.

La cultura della cura è sempre individuale e relazionale allo stesso tempo, ed è pacifica. Quando la passione, il desiderio governano il soggetto, la guerra non è neanche pensabile.

Crediti: Covid; Guerra

Immagine in evidenza:  Aerei

 

Psicologo, psicoanalista.
Presidente della cooperativa Il Sentiero e consigliere della cooperativa la Clessidra. Responsabile della comunità Alda Merini. Uno dei fondatori dell’associazione Odòn.

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